Dispersione connettiva
Nell’ossimoro un vantaggio. La “dispersione”, da deriva insediativa, diviene strategia progettuale che coglie, nel disordine di un’urbanistica indulgente, la forza legante derivabile dall’applicazione del criterio al manufatto architettonico: programmi edilizi frastagliati per meglio introdursi, divisi in “momenti”, capillari, interstiziali. Passaggio di consegne: la “città diffusa” porge il testimone. È il programma edilizio in sé a smembrarsi, in reintegrazione di contesti “polverizzati”, o nel recupero di preesistenze in abbandono. La costruzione frammenta- ria accresce infatti, in misura inversamente proporziona- le alla compattezza, il proprio potere di saldatura e cura ambientale. Perde di unitarietà compositiva, ma guadagna in fattibilità. Il progetto “dissolto” è inclusivo, “offre il fianco”, valorizza l’esistente seguendone le forme. E anche quando vi “scompare” all’interno, non rinuncia a operar di sintesi; anzi, trova proprio nel suo formarsi a ridosso delle più diverse realtà, una divaricazione delle proprie possibili espressioni; abbandona l’isolamento autoreferenziale, interagendo con tutti i saperi necessari per un suo empatico sviluppo. Inversione semantica. La parcellizzazione si affranca dal relativismo e dai facili riferimenti linguistici (elementarismo, decostruttivismo...). E’ per l’eco-sviluppo, mentre rispolvera radici moderne: “paesaggi” di Scharoun, ”architettura additiva” di Utzon, continuum processuale esistente-nuovo, patrocinato, da Manieri Elia, con la nozione di “differimento” dell’opera. Vorrei rispondere al tema del forum, presentando casi di architetture a “maglie aperte”, episodiche ma sistemiche, adagiate tra le pieghe delle cose, “sminuite” di singolarità, a volte quasi “invisibili”, ma “aumentate” di centralità nell’era delle reti. L’indicazione di metodo, collaudata nel recupero, si rivolge all’ex_novo. Molte tipologie eleggono oggi l’organizzazione segmentaria a focus sperimentale: l’ospedale diffuso, la scuola, il museo, l’albergo...