L'eloquenza muta. Il senso del recitare agli albori del cinema
Al volgere del XIX secolo l’apparizione del cinematografo, che
segna l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, si colloca sullo sfondo di un
panorama culturale contraddittorio e eterogeneo. Il nuovo linguaggio, per quanto
ancora rudimentale, sembra acuire – più che provocare - la crisi dei linguaggi
“tradizionali”, costringendoli a un ripensamento sul loro statuto e sulla propria
essenza. La forza dell’immagine silenziosa veicolata dallo schermo
cinematografico, in grado di imporsi ciononostante a una platea sconfinata,
ribadisce l’insufficienza comunicativa della parola, già avvertita dai fautori di un
moderno che tenta di superare la prospettiva logocentrica. Il teatro tardo
ottocentesco, tradizionalmente “di parola”: fondato sulla centralità del testo scritto
e la presenza viva, corporea e vocale dell’attore, esperisce la crisi in forma forse
più acuta e paradigmatica delle altre espressione artistiche e letterarie. Diventa, per
questo, il perno dell’articolo, che si propone come una riflessione sulle tematiche
appena tratteggiate, mostrando come dal confronto con il nuovo mezzo il
linguaggio teatrale esca vivificato, nella ricerca di una ridefinizione della propria
natura, dei propri scopi e della propria funzione.