Omnia peccata paria. Intorno a un paradosso stoico, fra Cicerone, Orazio e Petronio
Il paradosso stoico ‘tutti le colpe si equivalgono’ era uno dei più difficili da
dimostrare. Nella letteratura latina, se ne occupano Cicerone, Orazio e Seneca.
Cicerone ci offre sia una presentazione ironicamente sprezzante (Pro Murena, De
finibus) che una difesa sofistica (Paradoxa Stoicorum) di esso; qualcosa di analogo
troviamo in Orazio: nelle Satire, critica il paradosso, focalizzandosi sulle sue
assurde conseguenze giuridiche; ma nell’Epistola I 16 lo difende, considerando
l’intenzione morale di chi si macchia di una colpa, intenzione che è in ogni caso
colpevole. Infine, in un passo del Satyricon, Encolpio sembra riprendere la critica
ciceroniana della Pro Murena, con l’equivalenza fra parricidio e uccisione di un
pennuto. Dunque, possiamo dire che il senso commune, riflesso in particolare
nella Pro Murena e in Petronio, guardava alle conseguenze del paradosso, che
erano insensate e improponibili in uno stato di diritto; d’altra parte, i filosofi si
concentravano sulle intenzioni morali, e da questo punto di vista riuscivano a dare
alla sua dimostrazione una qualche credibilità. Ma ciò poteva avvenire solo in testi
appartenenti ad un genere letterario tecnico specifico (i Paradoxa Stoicorum) o
destinati a lettori eruditi (le Epistulae di Orazio).