Nudo di donna: ri(s)coprire la Devi
In India, la rivendicazione dello spazio pubblico come territorio di esercizio della libertà ha dato luogo negli ultimi decenni a vari esercizi di performatività che hanno visto il corpo delle donne indiane divenire mezzo e strumento di forti azioni di protesta. Poiché proprio sul corpo delle donne si iscrivono le norme che lo asserviscono al potere patriarcale, alcune donne hanno pensato di ribaltarne il senso facendo ricorso proprio alla capacità performativa del corpo nudo. In tal modo, esse hanno utilizzato il nudo femminile come discorso etico e politico di tipo sovversivo, facendo sì che il corpo non fosse reso partecipe di forme di discriminazione. Se il rischio che si presenta nello svestire gli abiti sociali e il “buon costume” dettato dal genere è quello di esporsi a una pericolosa visibilità, che potrebbe accentuare piuttosto che prevenire o evitare la vulnerabilità del corpo nudo, la strategia della nudità utilizzata dalle donne come arma di dissenso politico e di denuncia della violenza mostra il suo potere performativo, di discorso agito, nel momento in cui attraverso l’atto —individuale o collettivo— della dismessa dell’abito sociale, il corpo femminile si riveste di un nuovo senso etico e politico. Se, quindi, la nudità del corpo non equivale a una sua “scostumatezza” che invita alla possessione e/o alla soppressione —reificante e punitiva— dello stesso, in che modo le performance di protesta dove le donne usano il loro corpo privo di vesti possono essere interpretate come un atto di riscrittura, attraverso il corpo, di un altro tipo di linguaggio? Questo saggio tenta un’analisi della messa in scena del famoso testo di Mahasweta Devi “Draupadi” da parte della compagnia teatrale Kalakshetra Manipur, dove l’attrice Sabitri Devi per la prima volta utilizza il corpo nudo, la sua «carne sensata», su una scena altrettanto spoglia ma densa di significato.