La dichiarazione universale dei diritti umani a settant’anni dalla sua adozione. Alcune riflessioni alla luce della giurisprudenza della corte internazionale di giustizia
Questo contributo si propone di fornire una ricostruzione degli orientamenti della giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia in relazione alla questione della natura giuridica della Dichiarazione universale dei diritti umani e dei principi in essa proclamati. Nella prassi più recente, la Corte internazionale di giustizia ha mostrato un approccio sempre più human rights-friendly, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo del diritto internazionale dei diritti umani. Eppure il rilievo della Dichiarazione universale dei diritti umani nella sua giurisprudenza appare piuttosto contenuto, ciò a dispetto del fatto che quest’ultima sia stata frequentemente invocata dagli Stati davanti alla Corte. Innanzitutto è da escludere che dalla giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia possa derivarsi una conferma delle tesi dottrinarie che individuano nella Dichiarazione universale una autonoma fonte di diritto internazionale: la
Corte, infatti, anche nei rari casi in cui ha fatto riferimento alla Dichiarazione, ha sempre evitato di chiarire l’origine e la natura della autorità riconosciuta a tale documento. Inoltre, nelle occasioni in cui ha collocato determinati diritti umani nella sfera del diritto consuetudinario, essa ha generalmente omesso di riferirsi alla presenza nella Dichiarazione di principi di contenuto corrispondente. Da questo punto di vista la valorizzazione della Dichiarazione universale nella recente sentenza sul caso delle Questioni concernenti l’obbligo di perseguire o estradare costituisce una assoluta novità. È probabile peraltro che la Corte, piuttosto che utilizzare la Dichiarazione come un elemento a riprova della natura consuetudinaria del divieto di tortura, abbia valutato che la stessa potesse rilevare ai fini dell’accertamento dell’opinio iuris cogentis necessaria per dimostrare l’appartenenza del divieto alla categoria delle norme imperative del diritto internazionale.