I rapporti tra la dottrina italiana e quella tedesca durante il fascismo intorno allo stato di diritto
L’articolo analizza i rapporti tra la dottrina italiana e quella tedesca durante il fascismo con riguardo al tema dello stato di diritto. Prendendo le mosse dagli studi sulla “cultura fascista”, che hanno evidenziato la presenza di correnti eterogenee – rispetto alla continuità con la tradizione, ai rapporti con il regime e agli orientamenti filosofici – il saggio esamina le diverse posizioni sostenute dagli autori italiani attraverso il modo di intendere il concetto polisemico di Rechtsstaat. Dopo un’introduzione in cui si tracciano le coordinate degli studi esistenti in materia, l’articolo indaga i diversi significati, formali e materiali, attribuiti dalla dottrina tedesca al Rechtsstaat, dalla fine del Settecento alla Repubblica di Weimar. Viene poi esaminata la disputa sul Rechtsstaat che ha coinvolto la dottrina del nazionalsocialismo, con particolare riferimento alle tesi negatrici di Carl Schmitt. Quanto agli autori italiani, il saggio intende mostrare come le nozioni di stato di diritto impiegate da ognuno di essi siano legate a specifiche concezioni del Rechtsstaat affermatesi in precedenza nella dottrina tedesca e come tali nozioni siano funzionali al modo di intendere il rapporto tra stato di diritto e stato fascista. Nel complesso risulta, almeno nel periodo centrale del regime, una prevalenza della concezione formale dello stato di diritto e una presa di distanza da quella parte della dottrina nazionalsocialista che ritiene il Rechtsstaat un prodotto inservibile del liberalismo. Nel medesimo periodo, le elaborazioni weimariane vengono marginalizzate, mentre riflessioni più originali provengono dall’ambiente idealistico. Il contributo si chiude con un confronto tra l’esperienza italiana e quella tedesca alla luce della controversa categoria del totalitarismo e dei complessi processi di costruzione della memoria.