Ormeggiate sulle sponde del Mediterraneo orientale. Note critiche e mesopotamiche sull’etnogenesi degli antichi e il nazionalismo dei moderni
Nella ricostruzione storica, archeologica e linguistica dell’Oriente antico un ruolo preminente ha da sempre assunto il tentativo di definire le identità culturali, un tentativo che risale all’espressione “terra delle genti con la testa nera” toponimia in lingua sumerica con cui le prime culture urbane (seconda metà del IV millennio a.C.) della Mesopotamia antica si riconobbero e distinsero. Questa definizione che indicava verosimilmente l’aspetto di una riconoscibilità fisiognomica per tutti i popoli del paese di Sumer e di Accad ma non territoriale, ovvero non associata ad un controllo di tipo territoriale venne solo molti secoli dopo sostituita da una visione politica etnocentrica basata sulle deportazioni e sul principio della conquista militare. E gli assiri che nel momento di massima espansione dell’impero raggiungeranno le coste del Mediterraneo orientale occupando le grandi città della Siria e della Palestina (assedio di Lachish 701 a.C.) distingueranno la loro appartenenza sulla base del sangue, distingueranno in altri termini la loro identità da quella dei popoli sottomessi non di sangue assiro. Tra i sumeri “teste nere” e gli assiri di “sangue” intercorrono circa quattromila anni di contesti archeologici, eventi e processi storici che è impossibile sintetizzare, ma che impongono anche una riflessione più attenta al tema delle relazioni semantiche intercorse tra ethnos e logos, e a quello, tragicamente attuale, della cosciente azione politica rivolta a condizionarne in antico e nell’età contemporanea funzioni, ruoli e dinamiche.