Cancellare e ripetere. Esperienza, impotenza e parodia romanzesca in Murphy di Samuel Beckett (1938)
Murphy, il primo romanzo pubblicato da Samuel Beckett, rientra per molti aspetti nell’orbita del modernismo e del modello joyciano, ma per altri anticipa aspetti che saranno caratteristici del modello “iperraziocinante” del romanzo beckettiano (secondo la definizione di Genette) e di quello “sottrattivo” delle successive sperimentazioni teatrali. Il romanzo si presenta come una parodia delle convenzioni del novel inglese sette-ottocentesco, di cui riprende l’uso del nome proprio nel titolo, una particolare relazione tra narratore e lettore (influenzata da Sterne e Fielding), una trama apparentemente coerente che allude alla detective story ma anche al romanzo di formazione. La tranche de vie che si racconta è quella in cui il protagonista, Murphy, personaggio dedito a strambe pratiche di solipsismo indotto, è convinto dalla donna di cui è innamorato, Celia, una ex-prostituta, a trovarsi un lavoro che gli permetta di inserirsi nella società e di garantire a entrambi una vita rispettabile. Il tentativo prevedibilmente fallisce, e anche tragicamente, mentre la trama si infittisce di personaggi minori, insieme comici e grotteschi, che donano al testo una particolarissima qualità umoristica. Fin qui, niente di nuovo, come pure suggerisce la frase con cui il romanzo si apre: “The sun shone, having no alternatives, on the nothing new”. E proprio questo “niente di nuovo” sembra essere la chiave per indagare la relazione tra racconto romanzesco e conoscenza nel testo, se ci si sofferma in particolare sulla figura della “ripetizione” che, ad un’analisi più attenta, si rivela come il principio formale ed epistemologico che struttura il romanzo. Tutto, in Murphy, si ripete due volte o più volte: luoghi, situazioni, dialoghi tra i personaggi, commenti del narratore. Il filo diegetico procede verso la fine, ma il narratore costantemente ricorre alle stesse parole o alle stesse scene riportando l’attenzione sul già noto, riadattando formule e informazioni già usate, situazioni già evocate, di fatto minando la verosimiglianza realistica del racconto, e svelando una sorta di self-conscious narration che presiede e informa il testo. Più in generale, la stessa struttura del romanzo sembra subdolamente suggerire la ripetizione come paradigma epistemologico: il ritorno dell’identico riduce al minimo, quasi cancella, la variety settecentesca delle situazioni romanzesche, così come il valore dell’esperienza che in essa era riposto, e persino lo statuto dell’individualità dei personaggi.