Principi costituzionali ed ambito di applicazione del consenso informato
Il consenso informato esprime un aspetto importante della libertà personale. La garanzia contenuta nell’art. 32 Cost. esprime l’affermazione di un diritto individuale e al contempo sociale: da un lato, la preminenza della persona rispetto a scopi utilitaristici; dall’altra, l’interesse della collettività, secondo una visione solidale e responsabile delle relazioni fra le persone. Di grande importanza, è l’ultimo periodo, per il quale anche «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». La norma infatti non è solo a garanzia del singolo, il quale, ancorché obbligato a un trattamento, non può mai per effetto dello stesso subire un pregiudizio. Tale interpretazione sarebbe riduttiva e non terrebbe conto della formulazione, che si riferisce precisamente al rispetto «della persona umana». Questa espressione mostra come siano in gioco concetti che prescindono sia dalla stessa positiva volizione della Costituzione, sia dall’interpretazione e dalla percezione del singolo individuo. In altri termini il rispetto della persona umana non significa che inviolabile è la volontà dell’individuo, ma che inviolabile è il rispetto della persona umana, ossia di ogni vivente. Il consenso informato poi non è la soluzione al problema della legittimità del trattamento, ad esempio nel caso del dissenso dei genitori ad un trattamento per il figlio minore in pericolo di vita; nel caso della richiesta da parte del paziente di un trattamento non proporzionato al caso clinico specifico e nei casi, paradigmatici, dell’omicidio del consenziente e dell’aiuto al suicidio (reati configurati da tutti gli ordinamenti e da considerare peraltro, alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, quali ingerenze nella privacy necessarie in una società democratica, per la protezione dei diritti altrui e dei soggetti più deboli). D’altronde si è visto che il consenso informato può considerarsi un principio generale dell’ordinamento giuridico costituzionale, nonostante manchi una legge generale che lo disciplini; legge della quale va posta in dubbio l’opportunità ove intenda disciplinare in modo unitario tutte le espressioni di consenso informato. Come per ogni principio, il «consenso informato» va poi accordato con tutti gli altri principi del sistema giuridico. Vengono in rilievo, in special modo, il principio del beneficio oggettivo del paziente e quello dell’autonomia e della responsabilità professionale del medico, ai sensi della Convenzione di Oviedo, del Codice deontologico, della giurisprudenza costituzionale, di quella di legittimità e della Corte di Strasburgo, di alcune raccomandazioni del Consiglio d’Europa e della recente Guida sul processo decisionale relativo ai trattamenti di fine vita. Il sintetico binomio «consenso» «informato» richiede poi che non si trascuri questo secondo termine e che dunque il presupposto della relazionalità fra paziente e medico e della effettiva comunicazione sia riscontrabile. Di conseguenza è irragionevole riferire il consenso informato a situazioni in cui manca la coscienza oppure la volontà del paziente è rappresentata da dichiarazioni, per quanto scritte, rese antecedentemente al momento in cui occorre l’assenso e oltretutto al di fuori di un contesto già patologico o comunque di possibile imminente trattamento. Quanto poi sia ideologica e dunque sganciata dalla realtà l’idea dell’autodeterminazione incondizionata, lo dimostra la prassi quotidiana, ove si consideri che molti pazienti con prognosi infausta di fatto non sono informati chiaramente dai medici della loro situazione, spesso perché gli stessi familiari si oppongono a tale comunicazione. Si assiste insomma ad un paradossale scollamento tra l’enfatizzazione del principio e la pratica clinica.