L’autodistruzione collettiva e la specificità della comunità umana nel pensiero di Enrico Castelli e Marco Maria Olivetti
In questo testo intendo analizzare una questione filosofica direttamente connessa alla possibilità di una eventuale catastrofe nucleare, ossia la questione della possibile autodistruzione collettiva dell’umanità. Nello specifico, osserverò il modo con cui il tema è affrontato da due pensatori italiani del Novecento, ossia Enrico Castelli e Marco Maria Olivetti.Il problema dell’autodistruzione dell’intero genere umano è affrontato da Enrico Castelli a partire da un esempio narrativo che chiama in causa la possibilità di una possibile ecatombe atomica provocata dalla scelta consapevole di un personaggio che intenderebbe procedere a un suicidio collettivo totalizzante. Castelli iscrive la questione nella cornice di un discorso sul significato filosofico, anzi, teologico della storia e ne tratta in un’opera dal titolo "I presupposti di una teologia della storia". Da parte sua, Marco Maria Olivetti, allievo diretto di Castelli, riprende l’esempio del maestro in alcune pagine molto dense di una sua opera di quarant’anni dopo, intitolata "Analogia del soggetto", in cui riflette invece sul nesso che si instaura nella modernità tra l’idea di soggettività e i principi di autoconservazione e/o autodistruzione collettiva.