LA FOTOMODELLAZIONE IN AMBITO ARCHEOLOGICO. Potenzialità, limiti e prospettive

02 Pubblicazione su volume
RUSSO, MICHELE

Nel 1826 Joseph Nicéphore Niépce, dopo una attesa di otto ore di esposizione, ottenne la prima immagine con una macchina fotografica. Da allora, grazie agli incredibili sviluppi in ambito meccanico, ottico, geometrico, matematico, informatico, le fotocamere sono divenute uno strumento essenziale per gli studiosi dell’architettura e della archeologia, garantendo la possibilità di memorizzare su un supporto fisico una versione semplificata ma attendibile delle informazioni visibili all’occhio umano. Nel tempo è divenuto un supporto fondamentale, a integrazione della analisi in situ, registrando una ‘traccia’ del reale a supporto delle analisi a tavolino. Ma l’evidente utilità dello strumento non è corrisposta nel XX secolo a una sua eguale crescita di utilizzo, complice certamente il costo strumentale e la complessità sia delle apparecchiature che del processo di restituzione.
La straordinaria evoluzione dell’informatica, dell’elettronica e della Computer Vision degli ultimi decenni ha permesso oggi, a distanza di quasi 200 anni da quelle prime sperimentazioni, una totale accessibilità a fotocamere digitali avanzate e sistemi di elaborazione dati sempre più performanti. Tali condizioni hanno contribuito a una democratizzazione nell’uso della fotografia digitale, in accordo con la diffusione pervasiva delle immagini digitali nella società contemporanea, divenendo il principale strumento di comunicazione e simulazione multilivello sia del mondo reale sia progettuale. Significativo in tal senso è la crescita esponenziale di modelli 3D in ambito archeologico, a dimostrazione del ruolo e significato delle immagini digitali, la loro accessibilità e le potenzialità offerte da alcuni programmi di elaborazione. Questi ultimi sono in grado di restituire modelli geometrici sempre più complessi e a differenti livelli di scala, che divengono a loro volta strumento di studio e meta-analisi indispensabile nel processo di conoscenza e comunicazione dei reperti archeologici, a supporto delle molteplici fasi di indagine. Lo studio e la comprensione delle caratteristiche morfologiche, materiche, strutturali, compositive e tecnologiche del manufatto archeologico rappresentano la base fondativa per la conoscenza dell’artefatto reale. Tale processo di analisi, integrato da uno studio iconografico e bibliografico che ripercorre la genesi del reperto e consente di collocarlo nel tempo e nello spazio, è propedeutica a una sua valutazione critica. La fotografia e la fotomodellazione in tal senso rappresentano uno strumento di studio essenziale a supporto dell’analisi diretta, in grado di ‘congelare digitalmente’ i principali aspetti morfologici e materici, fornendo allo studioso un importante strumento di analisi dell’esistente. Nell’ambito delle metodologie di rilevamento digitale, negli ultimi anni si sta assistendo alla parziale sostituzione di alcune tecniche di acquisizione attiva del reale, quali ad esempio quelle basate sull’uso del laser scanner 3D, con metodologie di rilevamento passive e basate sull’integrazione fra metodi fotogrammetrici e Structure from Motion (SfM).
A distanza di dieci anni dalle prime sperimentazioni nell’ambito della A distanza di dieci anni dalle prime sperimentazioni nell’ambito della fotomodellazione, è plausibile avere uno sguardo maggiormente consapevole sulla tematica, portando avanti una riflessione critica sui vantaggi e i limiti delle tecniche fotogrammetriche per la conoscenza degli artefatti archeologici, provando a rintracciare in essi alcuni ‘segnali’ sugli sviluppi futuri. Per tale ragione l’analisi critica sulla crescita di tale fenomeno e sulle prospettive che esso può offrire rappresenta il principale obbiettivo di questo lavoro. Partendo da un’analisi temporale-comparativa fondata sull’uso dei principali strumenti nell’ambito del rilievo archeologico dell’esistente, vengono evidenziati alcuni limiti e van

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