Nel tempo. Il museo, la storia e il fondo della percezione.
Come attivare il fondo della percezione? Come attivare, cioè, uno scardinamento del tempo che non sia quello subìto quotidianamente e insensatamente, ma che costituisca una sua ripresa riflessa, una sua simbolizzazione, una sua elaborazione feconda? Si tratterebbe di far lavorare di conserva una capacità di abbandonarsi senza controllo ad analogie inedite, capaci di creare cortocircuiti tra tempi eterogenei, e un controllo vigile che le contenga in un orizzonte di senso discutibile e comunicabile, per quanto fratturato e precario, e abitato da un nucleo inespugnabile. Credo sia questa la domanda che la mostra-allestimento Time is out of joint ci pone. Come “scatenare” la percezione, affinché lavori il proprio tempo out of joint, chiamando a raccolta promesse e orrori del passato come reagenti per esaminare il nostro tempo, per saggiare sul suo terreno nuovi solchi? Come sottrarre le opere a un interesse solo accademico o erudito, per un verso, e a un consumo svogliato o eccitato, per un altro, per incontrale come singolari interlocutrici? Convincenti o meno, riuscite o fallite, le opere esposte andrebbero interrogate come fossero concrete e indefinite “ipotesi normative”, frammenti di totalità indeterminate, singolarità a loro volta interroganti ed esigenti. Solo a questa condizione di dislocazione, vaglio e distacco è possibile, infatti, ereditare qualcosa, far proprio quel che ci è toccato in sorte.