L’emergenza carceraria non è un incendio al di là del fiume
L'attuale sovraffollamento costituisce un fattore esponenziale del rischio epidemia: rende estremamente difficile la prevenzione; quasi impossibile il contenimento e la cura del contagio. Se si vuole evitare che la situazione sfoci in una conclusione drammatica è anzitutto necessario, sebbene naturalmente non sufficiente, che la popolazione detenuta torni entro i limiti della recettività penitenziaria. Se non si vuole intervenire per un atto di giustizia, lo si faccia a tutela della sicurezza sociale, poiché se il virus comincia a circolare nelle vene penitenziarie sarà impossibile fermarlo entro le mura del carcere. Ancora una volta i provvedimenti che farebbero bene alla popolazione penitenziaria, farebbero bene alla società tutta. È tempo che chiunque abbia suggerimenti per cercare di disinnescare questa esplosiva situazione li proponga e che i decisori politici adottino con urgenza quelli ritenuti più efficaci e con minori controindicazioni. Coloro che sono intenti soltanto a enfatizzare queste ultime per criticare ogni proposta avanzata, hanno il dovere di indicare opzioni alternative, a meno che non siano già cinicamente rassegnati all’idea che “il cimitero dei vivi” da icastica metafora turatiana possa divenire un’inconfessabile soluzione