L’infinito raccolto. Paesaggio come opera aperta

02 Pubblicazione su volume
Frediani Daniele

Nel suo testo “Estetica. Teoria della formatività” Luigi Pareyson sostiene a proposito dell’opera d’arte che “la sua totalità risulta da una conclusione, e quindi esige di essere considerata non come la chiusura di una realtà statica e immobile, ma come l’apertura di un infinito che s’è fatto intero raccogliendosi in una forma”. Per Pareyson dunque un’opera aperta è un testo che permette interpretazioni differenti da parte del fruitore e si rende quindi disponibile a multiple letture e appropriazioni da parte di chi ne fa esperienza. Allo stesso tempo però ciò significa che non è possibile distinguere una forma finita e conclusa dell’opera, universalmente trasmissibile e univocamente rappresentabile.
Il paesaggio, da parte sua, è forse il prodotto delle discipline prossime all’architettura per il quale è più difficile fissare un esito compiuto. Un configurazione definitiva e univoca del paesaggio in effetti non può esistere, poiché l’“apertura” alle libere letture ma anche alle trasformazioni inattese è parte fondamentale della sua identità. Nel caso del paesaggio è la funzione tempo a governare trasformazioni e interpretazioni possibili, aggiungendo dunque complessità al concetto stesso di opera aperta.
Alcuni esempi di paesaggio contemporaneo saranno indagati per la loro attitudine a configurarsi come processi aperti e potenzialmente imprevedibili: nel progetto per la rinaturalizzazione del fiume Aire Georges Descombes impone una forma geometrica e rigidamente determinata all’alveo del fiume, salvo poi lasciare che il caso e l’interferenza occorsa traccino il percorso al suo posto. Allo stesso modo Michel Desvigne nel suo progetto-programma per la foresta urbana sulla penisola di Greenwich immagina un esito aperto secondo una griglia planimetrica in cui gli scenari futuri di taglio e diradamento saranno valutati sulla base della reciproca interferenza delle chiome degli alberi.
Proprio il tema dell’interferenza acquista qui un ruolo cardine: cosa interferisce nel progetto di paesaggio al punto da renderlo funzione del tempo e finendo addirittura col determinarne gli esiti oltre ogni prefigurabilità? E quali variabili di lettura e uso sono in grado di orientare le trasformazioni del territorio rendendo il paesaggio una prova di permanente incompiuto?

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